Briciole di storia, quisquilie e pinzellacchere. I goliardi medievali: vino, donne e dadi

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Si chiamavano “chierici vaganti” ed appartenevano al clero, ma quegli studenti vivaci, chiassosi e irridenti che nel Medioevo vagavano da una Università all’altra per tutta l’Europa per seguire i loro docenti prediletti, di comportarsi in modo pio e probo, come si sarebbe loro convenuto, non ne volevano proprio sapere.
Spesso li si vedeva nelle taverne a improvvisare rime licenziose e ballate irriverenti, fra poderose bevute di vino, scommesse ai dadi e avventure fugaci con belle fanciulle disinibite.

Goliardi erano anche chiamati con disprezzo, perché questo termine aveva connotazione negativa sia che lo si facesse derivare da Golia, il gigante emblema di tutti i vizi umani, o da “gula” (in latino gola e per estensione ingordigia), sia addirittura da Goliath, uno degli appellativi del demonio.
Ma loro se ne infischiavano e continuavano a divertirsi, ad irridere le convenzioni e la gerarchia ecclesiastica, il matrimonio, le virtù e i benpensanti e a comporre versi licenziosi e musiche affascinanti.

A metà dell’Ottocento un bibliotecario tedesco ritrovò nel monastero benedettino di Beuren (vicino Monaco di Baviera) un manoscritto databile intorno al 1230 che raccoglieva 315 poesie di cui 47 musicate.
Il grande musicista Carl Orff nel 1937 ne rimase affascinato e compose, basandosi sullo stile di quelle liriche goliardiche e ricreando atmosfere e suggestioni medievali, una cantata scenica di potente e visionario impatto: i celebri e sontuosi “Carmina Burana”.