Il 1 Marzo 1953 alle ore 22,30 il capo dei “caucasiani”, le guardie personali del dittatore dell’URSS Josif Vissarionovič Dzugasvili, al secolo Stalin, era inquieto in quella superba dacia/fortezza di Kuntsevo poco distante da Mosca, fatta costruire da uno dei favoriti di Caterina di Russia la Grande, il Conte Orlov.
Era inquieto perché non aveva ricevuto la richiesta usuale del tè come ogni sera alle 22, e aveva uno strano presentimento. Dopo aver atteso due ore, l’ufficiale, temendo il peggio, si decise ad usare il telefono interno per chiedere al suo potente capo se fosse tutto a posto.
Non ottenendo risposta e non volendosi prendere la responsabilità di forzare la porta blindata, decise, all’una di notte, di convocare urgentemente il “Presidium”, ovvero i 7 esponenti più importanti del partito: Kruscëv, Berija, detto “il macellaio” (il responsabile diretto delle famigerate purghe degli oppositori di Stalin), Molotov, Bulganin, Kaganovitch, Voroscilov e Malenkov, senza però dire al telefono la causa di quella perentoria e improvvisa convocazione.
C’era una tormenta di neve, quella notte, e venti gelidi siberiani spazzavano una Mosca deserta.
Tutti i “papaveri” convocati si alzarono con il cuore in gola pensando con terrore che una chiamata nel cuore della notte e con un tempo da lupi come quello, volesse dire una sola cosa: Stalin aveva deciso di dichiarare guerra agli USA.
Appena arrivati, dopo molte difficoltà e con le rispettive macchine che erano sbandate più volte durante il tragitto di più di 80 chilometri, i sette furono fermati dai caucasiani e perquisiti poiché Stalin aveva il terrore di venire assassinato proprio dai suoi più fedeli collaboratori.
Fu Molotov (vero nome Vjačeslav Michajlovič Skrjabin), Ministro degli Esteri e vice di Stalin, a ordinare di scardinare con dei picconi rompighiaccio la porta che dava al corridoio dove si aprivano le tre stanze che costituivano l’appartamento privato del dittatore.
Bussarono con forza alla porta dello studio e provarono ad aprire, ma questa era chiusa dal di dentro. Ruppero anche questa e trovarono Stalin accasciato sul tappeto, cosciente ma incapace di parlare e con i pantaloni della sua uniforme da maresciallo bagnati della propria urina.
I sette cacciarono dalla stanza il capo dei caucasiani e decisero concordi di non chiamare subito i soccorsi. Prima di farlo praticamente si spartirono il potere, decidendo così il futuro dell’URSS.
Il medico, una volta arrivato, diagnosticò un ictus.
Ma da subito nell’opinione pubblica, una volta che Stalin morì, quattro giorni dopo (il 5 Marzo), si propagò il sospetto che in realtà si fosse trattato di un assassinio premeditato e il dito fu puntato contro il feroce Berija che fu accusato anche dai vertici del partito di aver favorito l’emorragia cerebrale correggendo il vino di Stalin con un farmaco o con un raro veleno.
Il sospetto è suffragato da due fatti: la frase che Berija urlò agli altri tre durante il processo che questi ultimi intentarono contro di lui con l’accusa di aver ucciso il dittatore, ovvero “L’ho fatto fuori!!! Vi ho salvato tutti”, e la successiva sua fucilazione il 23 Dicembre dello stesso anno.
Dopo la morte del dittatore, Malenkov sarà eletto suo successore e subito dopo, soprattutto ad opera di Nikita Kruscëv, si provvide alla cosiddetta “destanilizzazione” che fece conoscere al mondo intero gli orrori perpetrati da Stalin.