Rubrica cordiandoli: Isadora e Sergej. Un amore bello e dannato

Categories: News,Uncategorized

Si incontrarono una sera d’Autunno del 1921 a casa di un pittore: lui, Sergej Aleksandrovič Esenin, poeta russo di 26 anni che dell’inquietudine, della ribellione e del tormento aveva fatto la sua ragion d’essere, lei, Isadora Duncan, americana di San Francisco, che di anni ne aveva 44, carismatica Dea della danza.
Quella sera s’innamorarono a prima vista, attratti reciprocamente dal fuoco che ciascuno di loro sprigionava, dalla trasgressività che era cifra connotativa delle loro esistenze e dalla vodka che quella sera tracannarono senza ritegno.

Si innamorarono e si sposarono, nonostante lei non conoscesse che una dozzina di parole in Russo e lui non parlasse altro che quella lingua.
Nei 15 mesi che li videro avvinghiati scorrazzare per l’Europa e l’America a bordo di una fiammante automobile, furono soprattutto i loro corpi a comunicare, sotto la spinta di un’attrazione erotica sbrigliata e incontenibile.
La loro luna di miele durò un anno intero, scandita da epocali ubriacature, notti infuocate, cocaina e hashish consumati come se non ci fosse un domani e liti furibonde con lancio di oggetti e distruzione di suppellettili nelle stanze d’albergo dove alloggiavano.
Ma si amavano. O forse no.
Forse, come qualcuno perfidamente suggerì, fu solo un modo per lei di rinverdire con quel matrimonio i fasti di una visibilità mediatica appannata, e per lui di salire alla ribalta e farsi finalmente conoscere dal grande pubblico, dacché odiava l’ombra.

Dei due era lei la più famosa, osannata incantatrice che con la sua danza fatta di arabeschi, di movenze plastiche, di sinuosità morbidissime, aveva stupito le platee di mezzo mondo.
Aveva rivoluzionato la danza, Isadora: via le scarpette con le punte, via quelle pose rigide ed innaturali, via quei costrittivi tutù.
La danza con lei non fu mai più geometria, ma poesia, respiro vitale, onda molle e possente, vento che scarmiglia l’erba.
Ed eccola danzare, allora, con i capelli sciolti, scalza, il corpo nudo avvolto da pepli fluttuanti, eccola flessuosa e sinuosa accarezzare con i suoi fianchi l’aria, eccola farsi suono, luce, fiamma, albero.
La sua non era danza, era sortilegio, incantamento.

Acclamata sui palcoscenici di tutto il mondo, si lasciava fotografare con le sue allieve adoranti, fotocopia di se stessa, le famose “Isadorables”, in una specie di gineceo della danza che a qualcuno ricordava l’isola di Lesbo della poetessa Saffo.
E il paragone non era gratuito, giacché Isadora coltivò sempre amori saffici, il più famoso e scandaloso dei quali lo consumò (pare) con la Principessa di Polignac, al secolo Winneretta Singer, ventesima dei 24 figli di Isaac Merritt Singer (fondatore dell’Impero delle macchine da cucire), nonché sorella di quel Paris Singer con il quale la danzatrice ebbe a sua volta una relazione e che le diede un bambino, Patrick.

Un altra figlia, Deirdre, Isadora l’aveva avuta dal grande scenografo e regista teatrale Edward Gordon Craig (lo stesso di Eleonora Duse), altra sua tumultuosa e fugace relazione.
Entrambi i bimbi furono segnati da un destino atroce: l’autista dell’automobile in cui entrambi viaggiavano insieme alla governante, sceso per girare la manovella e così riavviare il motore che si era momentaneamente spento, dimenticò di azionare il freno a mano e l’automobile scivolò nella Senna.
Inesorabilmente.

Lo strazio della Duncan fu da allora immedicabile, nonostante i successi, le ovazioni del pubblico, gli amori e le tumultuose passioni.
Droga, alcol, spregiudicatezza e un profondo male di vivere compromisero tutte le sue relazioni sentimentali, anche quella con il giovane Esenin.
Si lasciarono dopo soli 15 mesi da quell’incontro a casa del pittore Jakovlev e fu un addio che, a dispetto di chi aveva sollevato dubbi sull’intensità del loro legame, lasciò strascichi dolorosi per entrambi.

Isadora, tramontata ormai come astro della danza, passò da una relazione ad un’altra, dividendosi tra Parigi e Nizza, spesso ubriaca e squattrinata; Sergej, sempre più preda dei suoi fantasmi, delle sue angosce (che gli avevano causato numerosi ricoveri in ospedali psichiatrici) e di un devastante delirium tremens, finì col rinchiudersi nel Natale del 1925 nella stanza n 5 dell’Hotel Angleterre di San Pietroburgo (allora Leningrado).
Si tagliò le vene, Sergej, e con il suo stesso sangue scrisse l’ultima straziante poesia d’amore per il suo amante Anatolij Marienhoff, poesia che termina con i famosi versi “morire in questa vita non è nuovo, ma di certo non lo è neppure vivere”.
Sopravvisse incredibilmente, Esenin, a quel tentativo di suicidio.
Il giorno dopo, in un innevato e gelido 28 Dicembre, un inserviente lo ritrovò impiccato con la cinghia della valigia legata al tubo del riscaldamento della stanza.
Non aveva che 30 anni.

Si dice che Isadora scoppiasse in lacrime alla notizia e che affogasse il dolore per quella morte con una doppia dose di alcol e cocaina.
Ma anche per lei il destino era in agguato.
La mattina del 14 settembre 1927 a Nizza Isadora Duncan salì su una Bugatti scoperta; c’era il sole e lei sembrava felice.
Si accomodò accanto al guidatore e salutò tutti gioiosamente.
Dopo pochissimi chilometri, i lembi della lunghissima sciarpa che portava annodata al collo si impigliarono ai raggi delle ruote della vettura.
Morì strangolata.
Le sue ultime parole prima di partire erano state: “Adieu mes amis. Je vais à la gloire!”. Addio amici miei. Vado verso la gloria.
E per lei gloria sarà. Immortale.