Rubrica Cordiandoli. La fornarina e il sublime Raffaello: la loro passione, la loro tragica fine

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Ci guarda, con quegli occhi in cui sensualità, malizia e innocenza si mescolano in maniera irresistibile, come irresistibile è il gesto della mano che tenta di velare il seno nudo con pudicizia, gesto vanificato da quelle voluttuose carni di magnolia.
“La Fornarina” è il titolo del celeberrimo dipinto che il sommo Raffaello realizzò tra il 1518 e il 1519, poco prima di morire e che ritrae Margherita Luti, la sua musa e amante che lui amò di amore ardente e carnalissimo.
Volle firmarlo, quel ritratto, come a ribadirne il possesso, sul braccio nudo della donna: RAPHAEL URBINAS, Raffaello l’Urbinate, e volle eternarla, indicando al mondo stupefatto che era lei quella creatura incantevole, proprio lei, la sua Margherita, apponendo tra i capelli una perla, “margarita” in latino.
Utilizzò, com’era uso nel Rinascimento, la cosiddetta allegoria del nome che tanto piaceva anche a Leonardo, che nella “Dama dell’ermellino”, scelse quell’animaletto (“gallè” in Greco), ad identificare la splendida Cecilia Gallerani, amante di Ludovico il Moro, ivi ritratta.

Margherita era figlia di un fornaio senese che dopo la morte della moglie, deceduta di parto mentre dava alla luce la loro figliola, si era trasferito a Roma, nel quartiere Trastevere, in zona Santa Dorotea.
Era così povero Francesco Luti, che non poteva permettersi neanche un garzone e allora a fare le consegne in quelle ore livide tra la notte e l’alba, era lei, la giovanissima Margherita, vestita da maschio, con tanto di pantaloni e un cappellaccio calato sugli occhi, a nascondere la fluente capigliatura.
E fu proprio grazie ai suoi splendidi capelli che lei attrasse, narra la leggenda, l’attenzione del sublime pittore che era a Trastevere ad affrescare la villa del potente e ricchissimo banchiere Agostino Chigi (diventata poi Villa Farnesina) e che in un attimo di pausa, passeggiando tra quei giardini, alzò gli occhi e vide in una finestra di una casa vicina una fanciulla che si stava asciugando i capelli al sole.
La capellatura fluente e soffice e le spalle bianchissime che una camiciola lasciava scoperte: questo vide Raffaello e questo bastò per fargli perdere la testa.

La volle come modella: lei accorse.
La volle come amante: lei disse sì.
Fu un amore grande, palpitante, sensualissimo (Raffaello era bello quanto voluttuoso) con lei adorante e lui talmente preso da quella creatura, da non riuscire neppure a dipingere se questa non gli era accanto.
Tutti erano a conoscenza di questo legame fortissimo, una vera ossessione erotica, e tutti si scandalizzavano: “ma come! Il Divino pittore folle d’amore per la figlia di un fornaio! Lui dovrebbe sposare Maria Dovizi da Bibbiena, la nipote del Cardinale: quella sì che è adatta al suo rango!”, commentavano sdegnati.
Ma Maria Dovizi era brutta, grassa e acida, tanto quanto Margherita (anzi, Ghita, come lui la chiamava) era luminosa, morbida e calda.
Anzi, qualche storico sostiene che, invece di sposare la nipote del potente prelato, lui si fosse unito in matrimonio in gran segreto proprio con la sua Ghita e che le avesse regalato un anello che lei conservava come una reliquia.

Anche gli umili abitanti di Trastevere erano ostili a quel legame, e il giorno in cui la Fornarina tornò nel quartiere dal padre morente, fu accolta da ingiurie ed improperi perché nel suo quartiere Ghita c’era giunta in carrozza non vestendo più calzoni informi, ma splendidi abiti di seta.
Ma a lei e al suo febbricoso amante non importava nulla dei giudizi malevoli della gente: il loro nutrimento era l’amore, la loro energia, la frenesia dei sensi.

E quando Raffaello, il 6 aprile 1520, la notte del Venerdì Santo, la notte in cui compiva 37 anni, dopo averla amata per ore e ore con una voluttà mai sazia e mai paga, s’accasciò tra le sue braccia, la Fornarina morì di fatto insieme a lui.
Non le permisero di partecipare alle esequie (disdicevole che un’amante di umili estrazioni partecipasse ad un funerale di un uomo così importante) e lei, privata del suo uomo, della linfa vitale, si murò viva in un convento.
Tagliò quegli splendidi capelli tra i quali le dita del suo amante avevano intrecciato parole d’amore e mortificò le sue carni d’alabastro sotto una lugubre tonaca.
Si lasciò morire a poco a poco.
Sul letto di morte, sentendo ormai prossima la fine, si mise all’anulare sinistro l’anello che il suo Raffaello le aveva regalato e spirò.
Nessuno la pianse.