<<Il cervello poetico tappezzato di cifre come lo studio di un finanziere. L’uomo dai fallimenti mitologici, dalle imprese iperboliche e fantasmagoriche>>: così Charles Baudelaire definiva Honoré de Balzac, forse il più grande romanziere di tutti i tempi, concludendo la sua analisi critica con la celebre frase: <<ognuno in Balzac, anche i portieri, hanno del genio>>.
Nato a Tours, nell’antica regione francese della Touraine, il 20 maggio del 1799 da una coppia male assortita (padre cinquantunenne e madre diciannovenne) che lo mise prima a balia e poi in collegio e che mai gli dimostrò amore, Honoré Balssa (cambierà lui il cognome in Balzac preceduto dal “de” nobilitante) si rifugiò presto nella scrittura.
Iniziò a vent’anni a scrivere, sotto pseudonimo e con scarsa fortuna, andando a vivere in una mansarda e sperimentando all’inizio ristrettezze e delusioni.
E nel mentre che scrive scrive scrive, si improvvisa “affarista”, non azzeccandone una: fallimentare la sua bislacca decisione di coltivare ananas in terra francese, così come quella di comprare una fonderia di caratteri da stampa, e ancor di più quella di dedicarsi allo sfruttamento di miniere d’argento sarde abbandonate da secoli. Risultato: debiti su debiti di cui si vanterà con ribalda guasconeria.
Fanfarone, simpatico, eccentrico, dedito ai piaceri carnali (ebbe tantissime amanti), affamato cronico e gran mangiatore, avido di soldi e lussi, viaggiatore instancabile (visiterà la Francia intera e poi Germania, Russia, Prussia, Polonia, Svizzera, Italia, Ucraina), Balzac si impose all’attenzione di critici e letterati nel 1831 quando apparve la sua opera “La peau de chagrin” e di seguito “Eugénie Grandet” e “Le Père Goriot”.
La sua frenetica e poliedrica attività letteraria di narratore, critico, giornalista (in 16 anni, tanto per dire, scriverà 90 romanzi) per la quale lavorava fino a 18 ore al giorno, si reggeva solo grazie a caraffate di caffè di cui fu sempre un formidabile e avido consumatore: ben 50.000 tazzine avrebbero sostenuto la stesura nel 1842 della sua monumentale “Comédie humaine” (costituita da 137 opere di varia natura), capolavoro assoluto e grandiosa analisi sociale, culturale e intima della Francia del suo tempo.
Quel suo metodo narrativo, definito da Marcel Proust “chiarimento retrospettivo”, consistente nello svelare il passato di un personaggio solo molto tempo dopo la sua comparsa sulla scena, ritardando così lo “svelamento” della sua natura e dei suoi trascorsi, la tessitura delle frasi, il suo realismo visionario, l’osservazione acuta della realtà alla maniera di un entomologo che analizzi un insetto e la stupefacente capacità di rappresentarne grandezze, vizi e debolezze, fanno della “Comédie humaine” un’opera colossale e unica nel firmamento della Letteratura mondiale.
Quando incontrò la (ricchissima) Contessa polacca Eva Hanska se ne innamorò perdutamente e ne divenne l’amante, essendo lei sposata.
Amava vivere sempre al di sopra delle sue possibilità, Balzac, vestire con ricercata eleganza come un dandy (pur non avendone le physique du rôle a causa di una notevole pinguedine esibita con nonchalance), nel mentre continuava a indebitarsi e a scappare dai creditori per tutta Europa, approdando alla fine in Ucraina.
Qui, nel marzo 1850, poté finalmente sposare la sua amata Eva nel frattempo divenuta vedova.
Ma a Giugno Balzac si ammala di peritonite, complicata da “affezione cardiaca aggravata dal lavoro notturno e dall’abuso diurno e notturno del caffè”, come lasciò scritto il suo medico personale, Dottor Nacquart.
Morì il 18 Agosto 1850, a 51 anni; il caldo eccessivo provocò una decomposizione precoce del suo viso e non fu possibile fare il calco in gesso per la maschera mortuaria.
Fu sepolto al cimitero Père Lachaise e fu Victor Hugo a declamare l’orazione funebre.
<<Era un Genio>> la frase conclusiva.