Rubrica coriandoli: le Dive del silenzio (prima parte)

Categories: News

Erano tutte fascinose e algide, pericolose e fatali, tenebrose e inaccessibili: erano le Dive del muto e molte di esse furono Italiane.
I loro nomi hanno fatto la storia del Cinema delle origini e fino all’avvento del sonoro (alla fine degli anni Venti), sono state le Divine incontrastate di un’epoca e il sogno proibito di milioni di spettatori.
I loro nomi ai più giovani risulteranno sconosciuti ma allora erano attrici famose, idolatrate e imitate: Francesca Bertini, Theda Bara, Lyda Borelli, Italia Almirante Manzini, Carmen Boni, Mercedes Brignone, Elena Sangro, la stessa Eleonora Duse, la Divina Greta Garbo…
Tutte accomunate da un successo mondiale (e da compensi stratosferici), da una vita di successi e di eccessi e da una vecchiaia malinconica, che in molte di loro fu connotata da miseria e solitudine

Tranne la Duse che nell’unico film interpretato, “Cenere”, tratto da un romanzo di Grazia Deledda, si presentava in abiti dimessi, senza un filo di trucco e con i capelli grigi raccolti in una crocchia, tutte le altre rappresentavano il prototipo della Diva per eccellenza: occhi pesantemente bistrati, sguardo maliardo, sigarette da cui aspira e rigetta voluttuosamente spirali di fumo, abiti sinuosi, incedere regale, pose fatali.
Dallo schermo incantava e ammaliava con film melodrammatici e “peccaminosi” in cui le vicende erano raccontate solo dalla mimica (volutamente esagerata) del volto e del corpo, dalle didascalie che sotto forma di “cartelli” (sempre con titoli ad effetto e una sequela di punti esclamativi) informavano gli spettatori dello sviluppo delle situazioni, e dal pianista che sottolineava le scene eseguendo musiche dal vivo.

Le pellicole avevano nomi inequivocabili: “Rapsodia Satanica”, “Fiori di male”, “Figli di nessuno”, “Assunta Spina”, “La Vampira” ed erano grondanti passioni e lacrime, colpi di scena e abbandoni struggenti, disperati addii e amori colpevoli.
Negli anni Dieci e Venti le Dive del muto dettarono legge nel costume e nella moda ed erano le padrone incontrastate di Hollywood, ma non tutte ebbero vita facile.
Scopriamone qualcuna…

Theodosia Burr Goodman era nata nel 1885 a Cincinnati (Ohio), ma il suo furbo agente cinematografico si inventò per lei un’origine esotica (sarebbe nata nel deserto sahariano da una donna araba dalla quale avrebbe ereditato poteri magici) e un nome che farà la sua fortuna, Theda Bara, anagramma di “arab death”, morte araba.
È considerata la prima “vamp” della storia del Cinema; i critici coniarono quel termine per lei, dopo averla vista in “La Vampira” (tratto da una novella di Kipling) in cui incarnava l’archetipo della donna perversa e tentatrice che impersonò ancora in “Salomè”, “Cleopatra”, “Carmen”. Si ritirerà dalle scene nel 1926 e morirà di tumore allo stomaco.

Sulla Divina Greta Garbo si potrebbero scrivere centinaia di pagine; ci limitiamo a poche righe.
Greta Lovisa Gustafsson fu sicuramente una delle attrici più fascinose di tutti i tempi e, secondo l’American Film Institute, la quinta attrice più grande al mondo dopo Katherine Hepburn, Bette Davis, Audrey Hepburn e Ingrid Bergman.
Androgina e sensualissima, misteriosa e carismatica, dal 1927 al 1941 interpretò una ventina di film, tra cui pellicole memorabili come “La Regina Cristina”, “Anna Karenina”, “Margherita Gautier”, “Mata Hari”, “Maria Walewska”, in cui il suo volto aristocratico ed espressivo prestò i tratti a donne maliarde e appassionate.
Visse passioni incandescenti con l’attore più amato del Cinema muto e suo partner abituale John Gilbert, con il grande direttore d’orchestra Leopold Stokowsky (con tanto di fuga d’amore a Ravello) e con Mercedes de Acosta, poetessa americana di origine spagnola, che sarà anche amante di Marlene Dietrich, sua storica rivale al Cinema. Greta Garbo, rimanendo fedele al suo personaggio di donna misteriosa e riservatissima, si ritirò dalle scene nel 1941, a 36 anni, e da allora visse un’esistenza pervicacemente lontana dai riflettori, in una solitudine desiderata e strenuamente difesa, nel suo lussuoso appartamento di New York pieno di quadri di Renoir, il suo pittore preferito.
Nel 1949 i produttori di quel capolavoro che fu “Viale del tramonto” la contattarono per affidarle la parte della protagonista Norma Desmond, lei rifiutò sdegnosamente e la parte fu di Gloria Swanson, altra Diva del Muto, che, grazie a quel film, ritornò in auge.
Greta garbo morirà nel giorno di Pasqua del 1990, a 85 anni e riposa nel cimitero di Woodland a Stoccolma.

Francesca Bertini, nome d’arte di Elena Vitiello, nacque nel 1892 a Firenze (o a Prato) e mentre studiava recitazione a Napoli, viene scoperta dal drammaturgo Edoardo Scarpetta (il padre naturale dei celeberrimi fratelli De Filippo) e diventa un’icona di bellezza e seduzione: Guglielmo Marconi e il principe Vladimiro di Russia persero la testa per lei, per quella sua bellezza mediterranea, per quei suoi occhi intensi e accesi.
Nel 1915 raggiunse un successo clamoroso con una storia strappalacrime, “Assunta Spina” , tratta dal dramma scritto da Salvatore Di Giacomo e interpretò l’intera serie de “I 7 peccati capitali”, tratti dal romanzo di Eugenie Sue: un film per ogni peccato.
Pagatissima e capricciosa, per ogni scena pretendeva un vestito nuovo fatto su misura, sicché i suoi armadi traboccavano di vestiti indossati una sola volta, e si fece costruire una lussuosissima villa sulla Nomentana a Roma dove andò a vivere con il suo grande amore, il conte Paul Cartier, cugino del famoso gioielliere, che però la tradì impunemente e al quale lei, risoluta e dignitosa, diede il benservito dopo appena quattro anni di matrimonio.
Con l’avvento del sonoro, iniziò il suo declino: la sua voce gutturale e roca veniva considerata sgradevole e quindi non più scritturata.
La Vita le riserva molte amarezze: sempre più sola e con l’immenso patrimonio accumulato che piano piano svanisce, forse per eccesso divistico di spese incontrollate, forse per persone prive di scrupolo che la truffano e la derubano.
Fatto sta che la diva italiana del Muto più famosa e apprezzata si ridusse a vivere in un sottoscala alla periferia di Roma, ospite di una sua ex cameriera, ma poiché nelle rarissime interviste che negli anni successivi si susseguirono, si vergognava ad accogliere i giornalisti in quella specie di loculo, dava appuntamento al Grand Hotel, fingendo di abitare lì (e tutti facevano finta di crederci), truccata ancora come negli anni Venti e con indosso sempre un abito verde fuori moda, l’unico ancora bello rimastole.
Al dito un enorme rubino che lei spacciava per vero.
Francesca Bertini, colei che i critici definiranno “la donna più bella del mondo”, morirà a tarda età, sola e in miseria nel 1985 e, siccome nessuno pagò per il suo funerale, sarà sepolta nel cimitero dei poveri di prima Porta a Roma.

…continua alla prossima puntata