Bella era bella: corpo sapientemente modellato, ovale perfetto, occhi ribaldi.
La sorellina di Napoleone era nata anche lei ad Ajaccio, in Corsica, il 20 Ottobre 1780, 11 anni dopo il futuro Imperatore.
Spumeggiante, ribelle, ammiccante, sfrenata fin dalla prima adolescenza, a 15 anni s’invaghisce alla follia di Stanislao Frénon che di anni ne ha 41 e ne diviene l’amante, scatenando le ire del celebre fratello che le impone di troncare la tresca.
Lei si ribella, ma è costretta a capitolare, e poi, leggiadra farfalla, si consola presto e ricomincia a volitare di fiore in fiore, fino a quando raggiunta l’età di 17 anni, il Bonaparte, sperando di arginarne le intemperanze erotiche, la dà in sposa ad un suo valente ufficiale, Charles Victor Leclerc e li spedisce a Parigi.
Partorisce un figlio, lo chiama Dermide, ma lo affida subito ad altri: non vuole lacci e legami.
Lei è libellula e mantide, volubile ed esibizionista, e, soprattutto, se ne infischia di critiche e consuetudini.
Il fratello l’adora; la cognata, Giuseppina de Beauharnais, la odia e l’ostilità tra le due donne si accresce negli anni di perfidie e cattiverie.
Non aveva remore, Paolina Bonaparte, né etiche, né morali. Le regole? Tutte infrante. Gli amori? Fugaci e voraci.
Adora scandalizzare, épater les bourgeois e il frivolo e mondano ambiente aristocratico glielo consente, ma non il temuto (da tutti, men che da lei) fratello.
Stufo delle sue sfrenatezze, Napoleone le ordina di seguire il marito a Santo Domingo; lì Leclerc è stato nominato comandante in capo di una spedizione di oltre ventimila uomini inviati a sedare la ribellione degli schiavi neri nei territori francesi.
Il clima tropicale e l’atmosfera caraibica la conquistano e lei vi si adatta con euforico entusiasmo. Anche troppo.
Charles Victor Leclerc dopo pochi mesi muore per febbre gialla, ma il lutto si addice ad Elettra, non a Paolina, che carica la salma del marito sullo Swiftshure e nel viaggio di ritorno verso la Francia, vedova consolabilissima, concede le proprie grazie al gagliardo Humbert, Comandante della nave.
A Parigi qualche lacrimuccia di circostanza, tanto per non scontentare i benpensanti, e poi per lei le danze (e le alcove) si riaprono frenetiche.
Napoleone batte il pugno sul tavolo e le dà un nuovo marito e così Paolina a 23 anni sposa Camillo Borghese, che di anni ne ha 28.
Il nobile marito è un fervente bonapartista, ricchissimo, nobile, tiepido. «Sono moglie di un eunuco», dirà Paolina sospirando.
Ha trovato l’alibi per avallare un comportamento sempre più disinibito, anzi impudico, anzi sfrenato. Trenta saranno gli amanti che si prenderà durante il lungo (vent’anni) matrimonio con Camillo.
Dicono fosse ninfomane. Dicono. Sicuramente era bulimica di sesso e di conquiste, al pari del celebre fratello che intanto, in quei primi anni dell’Ottocento, si stava impadronendo dell’Europa.
A Paolina Roma sta stretta e appena può fugge a Parigi e questa, più indulgente e “scostumata” della provinciale capitale italiana, l’accoglie a braccia aperte. E lei vi si abbandona leggiadramente, com’è suo costume. Passa i giorni a frequentare balli e ricevimenti e le notti a rendere felici gli uomini.
Le donne la detestano, ma copiano i suoi abiti stile Impero di mussola bianca e trasparente. Nessuna di loro, però, avrà mai la sua irriverente monelleria, il suo irresistibile charme.
Intanto Camillo Borghese, marito ignaro (?) commissiona al più grande scultore del tempo una sua statua a grandezza naturale.
Antonio Canova vorrebbe immortalarla come Diana, la casta e austera Dea della caccia, ma lei replica: «Preferisco Venere» e lascia scivolare l’abito ai piedi, mostrando la sua splendida nudità.
Canova la eterna nel levigato marmo, in una posa languida e sensuale che scandalizza l’Europa; e quando le chiedono se non avesse avuto freddo completamente svestita, lei, allusiva: «C’era una stufa a riscaldarmi», ridendosela, come sempre, della riprovazione altrui.
Ma, come ammoniva Shakespeare, «Il tempo è un cormorano che tutto divora» e divora pian piano anche lei, Paolina la libellula.
La morte prematura del figlio, che pure aveva colpevolmente trascurato e di cui non aveva neppure imparato a scrivere correttamente il nome (d’Hermide, scriveva, invece di Dermide), la getta nello sconforto.
A poco più di 30 anni inizia il suo declino così come quello di suo fratello Napoleone.
Lo raggiunge all’isola d’Elba, dove l’Imperatore è confinato e quando lui viene destinato a Sant’Elena, piange e supplica di farla partire insieme al fratello, ma non le viene permesso.
S’innamora, ultimo sussulto passionale, di un uomo più giovane di lei di 16 anni, il compositore catanese Giovanni Pacini che (la Nemesi è spietata) la tradisce, la umilia, l’abbandona.
Si ammala e l’unico che le sta amorevolmente vicino, sarà proprio Camillo Borghese, quel marito troppo poco amato e troppo trascurato.
Ormai è l’ombra di sé: emaciata, triste, senza futuro. Muore il 9 giugno 1825 a 45 anni.
Ma continua a vivere grazie alla sapiente maestria del Canova, nelle sembianze di quella Venere seminuda, vellutata e seducente che nelle stanze della Galleria Borghese a Roma tuttora ci cattura e ci ammalia.