Rubrica coriandoli: Rasputin e la serata no del principe Yussupov

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La sera del 16 Dicembre 1916 San Pietroburgo era di spettrale bellezza, così ammantata di neve e quasi deserta.
I pochi passanti camminavano veloci, mentre il vento, tagliente come lama, sferzava loro il volto.

Anche Rasputin proseguiva spedito, ansioso di raggiungere il Palazzo del Principe Feliks Feliksovich Yussupov che lo aveva invitato a cena con la promessa di fargli conoscere la sua bellissima moglie, la Principessa Irina Aleksandrovna Romanova, imparentata con gli Zar.
Nessuno dei due poteva immaginare che per entrambi sarebbe stata una notte da tregenda, la più terribile della loro Vita.

Ma chi erano questi due personaggi?
Grigory Efimovich Novy, noto come Rasputin (da rasputnik ossia corrotto), era un monaco nato in uno sperduto villaggio siberiano. Rozzo, impostore e analfabeta, era però dotato di dialettica faconda, di uno sguardo demoniaco, di una lussuria senza freni e, pare, di sovrannaturali capacità taumaturgiche.

In breve tempo questo losco figuro riuscì ad approdare alla Corte degli Zar, conquistare Nicola II, plagiare la Zarina Alessandra e le sue figlie, le Granduchesse Olga, Tatiana, Maria e Anastasia e, sembra, arrestare, con la sola imposizione delle mani, il flusso emorragico di cui soffriva sovente l’erede al trono, il piccolo Aleksej, malato di emofilia.
In brevissimo tempo la sua diabolica influenza a corte crebbe a dismisura.

Ed è a questo punto che entra in gioco il Principe Yussupov.
Ricchissimo, bellissimo e dissoluto, era sì sposato con l’avvenente Irina, ma era un matrimonio di facciata, essendo lui omosessuale, dedito al travestitismo e amante del Granduca Dimitrji Romanov, cugino dello Zar in persona.

Yussupov, insieme ad altri esponenti dell’aristocrazia russa, tutti decisi ad arrestare lo strapotere di quel dannato monaco, organizzò un complotto per ucciderlo.
Ma lui e gli altri, come vedremo, avevano fatto male i conti con la natura luciferina di quell’individuo.

Orbene quella fatidica notte del 16 Dicembre di 100 anni fa, Rasputin arrivò a Palazzo Yussupov e fu accolto con (finto) calore dal Principe.
La bella Irina non c’era (“sta per tornare”, mentì Yussupov), ma in compenso c’erano, nascosti al piano superiore, gli altri congiurati.

Conoscendo i pantagruelici appetiti del monaco, gli era stata preparata una robusta cena: canapè di caviale e rognone in salsa di vino, insalata olivié (una variante della celebre insalata russa), dolci e vino Madera a profusione.
Piccolo dettaglio: dolci e vino erano corretti al veleno. Cianuro, per l’esattezza.

Rasputin ne ingurgitò una grande quantità, con gran soddisfazione del Principe che contava i minuti prima di vederlo stramazzare al suolo.
Eh no: con gran stupore di Yussupov, il monaco accusò solo un po’ di mal di stomaco. Null’altro.
Dopo un primo momento di sgomento il Principe passò al piano B: tirò fuori la pistola che teneva nascosta in tasca e sparò a Rasputin alla schiena.
Il monaco cadde a terra e iniziò a rantolare. Ma era ancora vivo.

Il Principe corse sopra dai congiurati che, sempre più allarmati, decisero di lasciarlo in cucina, convinti che sarebbe morto dissanguato.
Dopo un’ora Yussupov scese le scale con circospezione e si avvicinò al corpo di Rasputin che giaceva immobile.
Fu un attimo: quel demonio di un monaco spalancò i suoi occhi spiritati e afferrò per il polso il terrorizzato Principe, il quale, urlando istericamente, riuscì a divincolarsi dalla micidiale morsa e scappare a gambe levate al piano di sopra.

I congiurati, ora più che mai atterriti, scesero in cucina, decisi a completare in un modo o nell’altro l’assassinio.
Ma Rasputin non c’era più.
Al suo posto una lunga scia di sangue che arrivava fino al portone.
Si precipitarono fuori! Eccolo, barcollante come un orso, raggiungere il cancello.
Se fosse sceso in strada, qualcuno avrebbe potuto aiutarlo e vanificare il tutto…

“Sparagli Felix!”, gridò il suo amante.
Yussupov con mano tremante mirò, ma dei quattro colpi rimasti in canna, solo uno colpì Rasputin, che cadde sì al suolo, ma che, ancora incredibilmente vivo, cominciò a trascinarsi sulla neve, sempre più screziata di rosso.

A quel punto i congiurati erano terrorizzati: che veramente quel monaco fosse dotato di poteri soprannaturali?
Accecati dalla paura, cominciarono allora a tempestarlo di calci e pugni, mentre lui sghignazzava con l’ultimo fiato che aveva in corpo.
Basta. C’era rimasta un’ultima cosa da fare: sfiniti per la fatica e la paura, lo trascinarono verso la Neva e lo gettarono nell’unico punto dove il fiume non era ricoperto dal ghiaccio.
Lo videro andare giù. Finalmente.

Quando il suo corpo riaffiorò, tre giorni dopo, l’autopsia confermò l’incredibile realtà: morte per annegamento. Insomma Rasputin era ancora vivo quando era stato gettato.
Non il cianuro, non le pallottole, non le botte da orbi, ma solo le gelide acque del maestoso fiume di San Pietroburgo lo avevano ucciso.

Dicono, ma forse è leggenda, che nelle notti d’Inverno, ancora oggi in quel preciso punto della Neva si possa udire una diabolica, beffarda risata.
La risata di Rasputin.