È stata una delle voci più potenti, eversive, spudorate e spirituali della poesia americana del secolo scorso.
Anne Gray Harvey (Sexton era il cognome del marito) nacque il 9 Novembre 1928 a Newton, vicino Boston.
Famiglia agiata la sua: padre industriale, alcolizzato e assente, madre algida e anaffettiva.
E lei per ripicca e inclinazione, divenne una lolita dal comportamento provocatorio e sconveniente, che continuerà ad ostentare anche dopo il matrimonio a vent’anni e poi sempre, nella sua tormentata e scandalosa esistenza.
Ha due figlie, ma dopo la nascita della seconda, nel 1955, cade in una depressione cupa e vorace: tenta il suicidio e poi un altro, divorata da una smania di libertà (soprattutto sessuale) come donna e da torturanti sensi di colpa come madre.
Il suo primo psicanalista la invoglia a scrivere poesie e a frequentare ambienti letterari, e lei lo fa.
Diventa compagna di studi, di bevute e di confessioni scabrose (qualcuno sostiene anche di intimità inconfessabili) di Silvia Plath, anche lei splendida e irrequieta anima poetica.
E Anne inizia il suo percorso lirico di furore e di fervore.
Ogni volta, prima di porsi davanti al foglio bianco, si sottopone ad una sorta di rituale preparatorio: ascolta in modo ossessivo e ad altissimo volume le “Bachianas Brasileiras” di ViIla Lobos per chitarra classica.
Le sue poesie sono scudisciate al perbenismo, con quelle tematiche spesso oscene, un intreccio convulso di virtuosismi di assonanze, metafore ardite, vertiginosi giochi verbali che lei legge in pubblico con quella sua voce sensuale, arrochita dalle sigarette e dal gin, voce che era un graffio e un fremito.
La Vita le appare un “excitable gift”, un dono eccitante, che vuole vivere al diapason intrecciando torride relazioni carnali e intossicandosi di torazina e alcol.
I problemi di natura psichica l’affliggono e la devastano: rimane per giorni chiusa in casa immobile in trance, una trance autoindotta che le procura stati dissociativi e acuiscono in maniera esasperata la sua esigenza di spiritualità sconfinante in un misticismo da “estatica visionaria”.
Si crea altre identità, si sdoppia in Mr Dog (Mister e non Mrs o Miss), Dottor Cagna, ma Dog è palindromo di God, “Dio” perché così si sente: una divinità poetica capace di racchiudere entrambi i sessi.
L’esistenza si fa delirante, il rapporto con il nuovo psicanalista, il Dott Ollie Zweizung, si fa febbricoso ed “incestuoso”, dacché lei lo chiama “Doctor-daddy”, dottor-paparino e quando lui, stanco di quel nevrotico ed allucinato rapporto adulterino, torna dalla moglie, lei si butta volutamente dalle scale, fratturandosi un’anca e rimanendo claudicante per sempre.
“Diciamocelo, sono stata di passaggio./Un lusso. Una scialuppa rosso fuoco nella cala. (…) Quanto a me, io sono un acquerello./Mi dissolvo”: sono i versi di una delle sue poesie più struggenti a lui dedicate.
Da quel momento viene internata più volte in ospedali psichiatrici, va due volte in coma per overdose di psicofarmaci e fa della bottiglia e del sesso con chiunque le offra da bere, il degradante lei-motiv del resto della sua Vita.
Le figlie si vergognano di lei e l’abbandonano: resta sola con i suoi amati cani dalmata e parecchi tripli Martini come unica alimentazione.
A 46 anni, distrutta dagli eccessi e dalla follia, quella sua esistenza, quell’”excitable gift” le sembrò non più sopportabile.
In uno scontroso giorno autunnale del 1974, Anne indossò una sdrucita pelliccia della madre (l’amata-odiata “rivale”), andò in garage, si chiuse in macchina, accese la radio a volume massimo ed avviò il motore.
Il monossido di carbonio fece il resto.