Rubrica coriandoli. Dalida, l’ultimo suo biglietto “La vita mi è insopportabile perdonatemi”

Categories: News

Così era scritto sul biglietto ritrovato accanto al suo corpo. Chiedeva perdono, Dalida, per quel suicidio consumato tra il 2 e il 3 Maggio 1987, a 54 anni con un’overdose di barbiturici, suicidio che altro non era che il drammatico epilogo di un lungo, estenuante corteggiamento alla morte che quella notte l’accolse tra le braccia placando per sempre irrequietezze e disperazione.
Una vita baciata dal successo e segnata dalla sofferenza, quella di Dalida, cantante e attrice, ma soprattutto donna appassionata, coraggiosa, sfortunata.

Si chiamava in realtà Iolanda Cristina Gigliotti ed era nata a Choubrah, un sobborgo de Il Cairo, il 17 Gennaio 1933 da una famiglia calabrese di Serrastretta in provincia di Catanzaro emigrata in Egitto fin dal lontano 1869 in occasione della costruzione del canale di Suez.
Il papà di Iolanda, Pietro, violinista all’Opera del Cairo, era un uomo estroso e quando da piccola una grave malattia agli occhi la costrinse a letto completamente bendata, era lui a raccontarle storie, a cantarle ninnananne, a placare quella paura del buio che non l’avrebbe mai abbandonata (dormirà sempre con il lume acceso sul comodino).
Quel padre tanto amato morì a 41 anni quando lei ne aveva appena 12. Dicono suicida di ritorno da una prigionia presso gli Inglesi che lo aveva stravolto.
Un dolore immenso, un vuoto lacerante che lei cercherà di riempire con storie di passione e di tumulti.

Cresceva intanto Iolanda non ancora Dalida: bella, alta, con una chioma soffice e voluttuosa e la vittoria a Miss Egitto nel 1954 le apre le porte del Cinema: recita con Omar Sharif, diventa controfigura di Joan Collins, doppia Rita Hayworth.
Ha una voce calda, profonda, drammatica, una voce particolare che le sale da quella sua anima ammaccata e ferita e punta dritta al cuore.
Decide di fare la cantante e parte per Parigi.
Sogni, tanti. Soldi, pochi.
Il 9 Aprile 1956 si presenta al provino all’Olympia insieme ad altre 23 con il nome d’arte di Dalila (in omaggio ad un film di qualche anno prima, “Sansone e Dalila”). Ha ancora una superba chioma scura e veste una lunga tunica bianca; ha occhi particolari, scuri, profondi, da Dea egizia e un leggero strabismo di Venere che gli innumerevoli interventi chirurgici non erano riusciti a correggere.
Quella sua voce, il carisma, ed una presenza scenica straordinari colpiscono Lucien Morisse, che diventa suo pigmalione prima e suo marito poi. Vince la selezione e cambia il nome in Dalida, inserendo la “d di Dio Padre”.

Vuole bene a Lucien, lo sposa però soprattutto per riconoscenza (dopo cinque anni di relazione), ma dopo pochi mesi dalle nozze lo lascia per Jean Sobieski, principe polacco decaduto.
Lucien soffre da morire. Si rifarà una vita con un’altra donna, è vero, ma qualche anno dopo si suiciderà sparandosi un colpo alla testa.
Per Dalida un dolore immenso, innervato da ispidi sensi di colpa.
Intanto per lei, nuova stella del firmamento canoro, i successi si moltiplicano: “Bambino” (rivisitazione della napoletana “Guaglione”), e poi le versioni francesi di “Come prima”, “Piove”, “Milord”.
Nel 1961 insieme a Charles Aznavour vince l’oscar per la canzone strappando la vittoria niente meno che a Edith Piaf e nel 1964 è la prima donna a conquistare un disco di platino vendendo 10 milioni di dischi.
La carriera s’impenna e lei raggiunge picchi di popolarità straordinaria: giornali e televisioni se la contendono.

Ma è la sua vita sentimentale che non decolla: non funziona neppure con il bel Jean Sonieski.
Si lasciano, lei ha diversi amanti (tra cui Alain Delon) fino a che incontra Luigi Tenco, di cinque anni più giovane, un angelo bello e dannato di cui s’innamora pazzamente.
Al Festival di Sanremo del 1967 lei lo impone agli organizzatori e cantano “Ciao amore ciao”, scritta dallo stesso Tenco, lei con la passione melodrammatica che la connotava, lui con quell’aria cupa e annoiata che lo contraddistingueva.
La giuria elimina la canzone e lui il 27 Gennaio si spara una revolverata.
È Dalida a trovarlo senza vita e la vita da quel momento abbandona anche lei.

Tornata a Parigi, il 26 Febbraio prende una camera nello stesso Hotel in cui aveva soggiornato il suo Luigi nei suoi soggiorni parigini, il “Principe di Galles”, appende sulla porta il cartello “Non disturbare” e si imbottisce di psicofarmaci.
La salva una cameriera; la trasportano d’urgenza in ospedale e lei si risveglia sei giorni dopo, ancora più disperata.

Si innamora dello scrittore Arnaud Desjardins, sposato e con tre figli che dopo tre anni di passione clandestina la lascia.
E lei, per superare la lancinante sofferenza di quell’abbandono e quello ancora più ruvido di un aborto clandestino, si dà allo yoga, alle discipline orientali (farà numerosi viaggi in India) e inizia un percorso psicoanalitico.
Poi incontra il sedicente “Conte di Saint Germain”, al secolo Richard Chanfray, un personaggio affascinante ma losco, alcolizzato e instabile con cui ha una relazione burrascosa (lui finirà persino in galera e ne esce perché lei gli paga la cauzione) durante la quale Dalida nel 1977 tenta per la seconda volta il suicidio e diventa anoressica.
Lo lascia, spinta da un ultimo istinto di sopravvivenza. Due anni dopo Richard si darà la morte con il monossido di carbonio nel garage di casa. Anche lui.

I successi mondiali intanto continuano (“Dan Dan Dan”, “Bang bang”, “Mamy blue”) così come la notorietà e l’amore del pubblico soprattutto quello italiano e francese, ma la sua anima è sempre più ferita, la mente sempre più inquieta.
La sua ultima relazione amorosa è con François Nauru, un medico. Sembra ormai una macabra maledizione, ma anche lui la fa finita, uccidendosi. È troppo.
La depressione la ghermisce nel suo antro buio dal quale non riesce più ad uscire.

La sera del 2 Maggio 1987 Dalida annuncia alla cameriera e alla fedele governante che sarebbe andata a Teatro. Esce con la macchina dalla sua bella villa sulle colline di Montmartre, fa il giro dell’isolato, imbuca una lettera per l’amato fratello Orlando (che era anche il suo manager) e torna di soppiatto nella sua camera.
Ingerisce una dose massiccia di barbiturici insieme a del whisky e poi si mette a letto. E per la prima volta nella sua vita spegne la luce.
La vestono con un abito d’oro; sulla bara un ramo di ciliegio fiorito e la scritta “Ciao amore ciao”.