Rubrica coriandoli. Kim Novak, la gatta

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Della gatta aveva tutto: sguardo felino, andatura indolente, sensualità misteriosa, temperamento indipendente, corpo soffice.
Quello sguardo verde come l’assenzio ipnotizzò gli spettatori fin da quando apparve in televisione a pubblicizzare una marca di frigoriferi e per tutti divenne “Miss Deep Freezer”.
Marilyn Pauline Novakosky (questo il suo nome alla nascita) nasce a Chicago il 13 Febbraio 1933 da genitori cecoslovacchi (padre ferroviere, madre insegnante)e prima di approdare alla pubblicità, fa svariati mestieri: assistente ad un dentista, lift-girl in un ascensore di un albergo di lusso, commessa in un grande magazzino, modella per spot pubblicitari, fino a che incontra un agente cinematografico che ne intuisce l’enorme carisma e le procura un contratto con una delle più potenti Major di Hollywood, la Columbia Pictures.

Lei ne è felice, ma non è tipo di ragazza che cerca la fama a tutti i costi: è affascinata, certo, dal mondo del Cinema, ma non è disposta a barattare nulla e mostra fin da subito spirito indipendente e indole testarda.
E a farne le spese è proprio il suo agente che quando le dice: “Per prima cosa dobbiamo eliminare quell’impronunciabile cognome polacco”, e le propone il “nome de plume” di Kit Marlowe, si sente rispondere: “Primo, non è un cognome polacco ma ceco; secondo, Kit Marlowe non mi piace, quindi scordatelo”.
E quando Miss “Deepfreezer” diceva “mai” o “no”, non c’era verso di farle cambiare idea: “Kim Novak. Questo sarà il mio nome d’arte”, comunicò con tranquilla fermezza al suo agente.

Così come, con altrettanta serena inamovibilità rispose picche ai produttori che l’avrebbero voluta “rivale” della Monroe.
“Con lei ho in comune soltanto il nome di battesimo, Marilyn; per il resto siamo diversissime e io non sarò mai il clone di nessuno”, replicò ai potenti della Columbia Pictures. E così fu.
Kim Novak nel panorama hollywoodiano è stata un “unicum”: bionda e levigata come Grace Kelly ma meno algida e più ironica, sensuale come Marilyn Monroe ma dalle forme meno esplosive e dall’aria meno smarrita, diva dello star-system ma mai schiacciata da diktat imperiosi o stritolata entro ingranaggi autodistruttivi, protagonista di pellicole cult, ma capace di fuggire senza rimpianti da Hollywood e di andarsene a vivere in uno sterminato ranch nell’Oregon in cui, a 85 anni suonati, vive tuttora circondata da cavalli, lama e caprette e guidando personalmente un fuoristrada sempre inzaccherato di fango.

Il primo successo internazionale lo coglie nel 1957 in “Pal Joey” in cui recita accanto a due mostri sacri: Frank Sinatra e Rita Hayworth, ma non si lascia intimidire dalla personalità e dalla fama di entrambi.
Anzi. Aveva fatto perdere la testa a Sinatra già l’anno precedente quando lo aveva affiancato nel coraggioso e stupendo “L’uomo dal braccio d’oro” di Otto Preminger, in cui, languida come il nome della protagonista femminile che interpreta, Molly, contribuisce al riscatto del personaggio interpretato da “The voice” (che per questo ruolo ebbe la nomination all’Oscar), un truffatore tossicodipendente.
La bollente relazione continua anche durante “Pal Joey”, film in cui si fa notare alla grande, nonostante non sia la protagonista.
La scena in cui canta (doppiata) “My Funny Valentine” diventa un cult: la cinepresa indugia prima su Pal Joey/Frank Sinatra che non riesce a staccarle gli occhi di dosso e poi su Rita Hayworth che, nel ruolo di un’ereditiera imperiosa e un po’ agée, entra nel locale e punta il suo sguardo disincantato su di lui, poi su di lei e poi di nuovo su di lui, con l’aria di chi ha capito tutto.
E gli spettatori, stregati dai primissimi piani degli occhi verdi di Kim, comprendono che non si tratta solo di un passaggio di testimone fra due donne che nel film si contendono lo stesso uomo, ma anche un passaggio di consegna fra una Diva in declino ed un’altra in ascesa. Perché così fu.
La Hayworth non la poteva soffrire (e lei non faceva nulla per piacerle) anche perché tre anni prima le aveva soffiato il ruolo di una fascinosissima seduttrice in “Criminale di turno” di Richard Quine e non gliel’aveva mai perdonato.

Kim Novak è stata una creatura fortunata.
Al Cinema, ad esempio, i suoi successi più famosi li otterrà proprio sostituendo altre attrici scelte prima di lei e poi impedite per varie ragioni a ricoprire quel ruolo: così sarà, ad esempio, per il delizioso film “Una strega in Paradiso” con Jack Lemmon e James Stewart per il cui ruolo della bionda e sensuale Gil (strega irresistibile che produce incantesimi insieme al suo gatto siamese Cagliostro) era stata scelta l’esplosiva Jane Mansfield (che deve rinunciare a causa di una gravidanza), così sarà per il suo film più celebre e celebrato, “Vertigo- La donna che visse due volte”, in cui prese il posto di Vera Miles, (che Hitchcock avrebbe voluto a tutti i costi), perché anche quest’ultima dovette rinunciare a causa di una gravidanza. E in un’intervista a Oriana Fallaci, Hitch, commentando quella defezione, non rinunciò al suo gusto per il paradosso e la frase ad effetto: “Vera ebbe il cattivo gusto di mettersi incinta. Odio le donne incinte. Perché poi fanno i bambini”

“Vertigo” del 1958 rappresentò la consacrazione planetaria di Kim Novak, ma partecipare a quel film, (che all’inizio fu un mezzo flop ma che in seguito sarebbe stato giudicato dal British Film Institute come il film più bello della storia del Cinema) diretto da quel geniaccio sadico di Hitchcock, fu un’esperienza angosciante.
Niente di nuovo: lo sarà per tutte le attrici scelte dal “mago del brivido”, accomunate dal colore dei capelli (biondo), da un futuro destino di gloria, ma anche dal dover fronteggiare i suoi desideri scomposti coniugati a prepotenze, vessazioni e alla pretesa di sudditanza psicologica.
Ma Kim seppe tenergli testa (confortata anche dalla presenza rassicurante del suo partner James Stewart che l’adorava), e se al tema del doppio del film conferirà un’interpretazione magistrale, sul set renderà la vita difficile allo stesso Hitch, litigando con costumiste e sarte e comportandosi da perfetta rompiscatole, tanto che lo stesso stesso regista in una successiva intervista affermò stizzito che prendere la Novak non era stata una scelta giusta.
E invece lei fu semplicemente perfetta nella doppia interpretazione dell’inquieta Madeleine e della misteriosa Judy, due creature apparentemente antitetiche, ma in realtà due aspetti della stessa donna.

E chissà se sarebbe stata adatta anche al ruolo di Holly Golightly, la leggiadra e indimenticabile protagonista di “Colazione da Tiffany” di Blake Edwards, ma quando glielo proposero, lei rifiutò.
A pensarci bene forse è stato meglio così perché probabilmente nessun’altra attrice, per quanto bella, brava e seducente, avrebbe potuto conferire al personaggio creato da Truman Capote quella grazia evanescente, quell’elegante ironia e quella malinconica dolcezza che invece l’incomparabile Audrey Hepburn seppe infondere.

Passioni e flirts ne ha avuti Kim (oltre Sinatra, anche il principe Ali Khan, Cary Grant, Bob Kennedy) e anche due matrimoni (il primo nel 1965 con l’attore Richard Johnson conosciuto sul set de “Le avventure e gli amori di Moll Flanders” e finito 13 mesi dopo, e il secondo con il veterinario Robert Malloy con cui è felicemente sposata dal 1976) e in mezzo una passione travolgente e sofferta con Sammy Davis jn il cantante e ballerino di colore, conosciuto ad una festa in casa di Tony Curtis e Janet Leigh.
Non fu vero amore, per stessa ammissione della Novak, ma un’alchimia di attrazione sensuale e di sfida alle istituzioni, giacché Harry Cohn, il potentissimo padre-padrone della Columbia Pictures andò su tutte le furie e tuonò contro questa relazione multietnica, temendo che l’America più bigotta e tradizionalista avrebbe disapprovato e di conseguenza disertato i film con Kim.
Lei, che amava le sfide e a cui nessuno poteva dire cosa fare e non fare, s’incaponì infischiandosene di divieti, imposizioni e conformismi.
Sammy invece se la diede a gambe levate quando Cohn minacciò di accecarlo.

Kim è stata una donna fortunata, si diceva: nel 2006, a 73 anni cade da cavallo e rischia di morire ma indomabile com’è guarisce dopo un anno di sofferenze e di fisioterapia, così come sopravvive quattro anni dopo ad un cancro che l’aveva aggredita al seno.
Dalla sua splendida villa sull’Oceano non si muove se non per partecipare come guest star a qualche pellicola di successo, come “Assassinio allo specchio” del 1980 tratto da un racconto di Agata Christie, accanto a Liz Taylor e Rock Hudson, e alla serie TV “Falcon Crest”, in cui pretese (e ottenne) di scegliere il nome del personaggio che interpretava.
Quale? Kit Marlowe, proprio quel nome d’arte che all’inizio della carriera il suo agente avrebbe voluto affibbiarle e che lei aveva ostinatamente rifiutato.
Ma ora, a distanza di tanti anni e di tanti successi, decise che sì, in fondo quel nome ora poteva andar bene, una scelta dettata dall’ironia e dalla tenerezza che a lei, donna indipendente, tosta e libera, non sono mai mancate.

Ps: questo “Coriandolo” è dedicato a mio zio Dario Ippoliti. Una volta da ragazzina gli chiesi: “Zio, perché ami così tanto Kim Novak?” e lui rispose: “Perché è una gatta. La più gatta di tutte”.