Rubrica coriandoli. La bella Otero, la donna che stregò la belle époque

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La Bella Otero, alias Carolina Carasson. Professione: ammaliatrice.
Figlia di un commerciante francese di vini e di una gitana andalusa, nacque il 4 novembre 1868 e fin da adolescente rivelò due attitudini: gran talento nel flamenco e gran propensione a sedurre gli uomini. Meglio se ricchi e potenti.
Pelle vellutata, corpo morbido, occhi verdi assassini, sensualità sbrigliata, ambizione smodata: questo era la Bella Otero.
Ambizione che dai bassifondi di Fuente Valga, presso Cadice, dove era nata il 4 Novembre 1868, la farà approdare ai fumosi tabarins di Parigi prima e ai più famosi teatri del mondo dopo; dovunque il suo corpo fatto per la danza e per il peccato stregò uomini e donne.

È ancora una bambina quando perde il padre, ucciso in un duello. La madre, che di lei si cura poco, la mette in Collegio, ma Carolina è troppo audace, ribelle e impudente per accettare la ferrea disciplina di quel lugubre convitto e di notte scappa per recarsi in una taverna di Cadice dove balla il flamenco per due pesetas a sera.
Viene scoperta, punita e rinchiusa in una tetra stanzetta, ma, con l’aiuto di una convitta, riesce a fuggire, e stavolta definitivamente.
A 17 anni sposa un baritono italiano, Guglielmo Rossi. Matrimonio che è un fatale errore per entrambi e che dura lo spazio di un sospiro.

Da Cadice a Lisbona, dove, la sera del suo debutto al Teatro Avenida, lascia di stucco Re Pedro V che l’ammira estasiato insieme alla sua corte di dame ingioiellate, aristocratici impettiti e ufficiali in alta uniforme. Tutti gli occhi sono per lei, per le sue movenze da gatta sensuosa, per quegli occhi pronti a mordere, per quelle mani che accarezzano l’aria. Alla fine, è una pioggia di rose gialle sul palco.
Il giovane impresario Ernest-André Jurgens perde la testa per lei e nel 1890 la fa debuttare a New York: i suoi spettacoli registrano il tutto esaurito e i miliardari più in vista della città se la contendono a suon di gioielli di Tiffany. La spunta su tutti William Kissam Vanderlbilt che le fa dono di uno yacht.

Da quel momento la sua è un’ascesa irrefrenabile: i maggiori Teatri d’Europa la ingaggiano a suon di compensi stratosferici che lei dilapida, in una sorta di compulsione incontenibile, in gioielli strepitosi, abiti da favola e, soprattutto, serate ai casinò.
Il demone del gioco si è impadronito di lei e non l’abbandonerà mai: per tutta la Vita lascerà con noncuranza somme da capogiro ai tavoli della Costa Azzurra.
Intanto banchieri, aristocratici e miliardari perdono la testa (e il patrimonio) per lei che, mantide irresistibile e sprezzante, si concede loro per notti di furori erotici in cambio di regali fantasmagorici.
Li lascia tutti. Non s’innamora mai.

Il suo primo impresario, Jurgens, che nel frattempo da lei abbandonato, si è ridotto sul lastrico, le chiede udienza, ma viene respinto e deriso.
Lui torna a casa e s’ ammazza attaccandosi alla canna del gas.
Non sarà l’unico. Molti dei suoi amanti, una volta abbandonati, impazzirono. Sette si uccisero.
Tutti la rimpiansero.
Anche le donne perdono la testa per lei. Una in particolare: Valentine de Bruges, un’attrice e soubrette dalla pelle diafana e dai capelli d’ebano.
La riempie di regali, le manifesta una passione amorosa e un desiderio carnale che all’inizio la lusingano, la turbano, la intrigano ma che lei, volubile falena, tronca improvvisamente.
Valentine si dispera, implora, si veste a lutto. Tutto inutile. La Bella Otero sa essere crudele.

Le prede per lei ebbero i nomi del Re Leopoldo II del Belgio che le regalò una splendida villa ad Ostenda, del Conte Florio di Palermo che in cambio di una notte d’amore, le spedì una scatola con dentro un gilet interamente fatto di smeraldi (firmato Cartier) che lei portava direttamente sulla pelle, del Principe Nikolaj Nikolaievic al quale si offrì completamente nuda, mollemente adagiata su un enorme vassoio d’argento portato a spalla da quattro Ufficiali in alta uniforme, e persino dello Zar Nicola II che le regala una villa principesca sul Mar Nero.

Narra la leggenda che lei e Alberto I di Monaco (nonno dell’attuale omonimo Principe di Monaco) capitassero una sera vicini di tavolo a Chez Maxim’s a Parigi e quando lei chiese del pane, si vide recapitare un grissino avvolto da una splendida collana di perle.
Allora lei, con un sorriso malizioso, si avvicinò al Principe e gli sussurrò all’orecchio: «Mangerò le perle e indosserò il pane.» Divennero amanti e lui perse la testa a tal punto da regalarle i gioielli della corona, salvo poi pagarle una cifra astronomica per riaverli.

Divenne talmente famosa che la casa automobilistica De Dion-Bouton, per farsi pubblicità, le fece dono di un’automobile: l’altezza del tettuccio era stata calcolata apposta per permetterle di indossare i suoi ingombranti, meravigliosi cappelli piumati.
Scalpore suscita il duello che lei ed un’altra celebre cocotte dell’epoca, Diane Valon, mettono in scena (perché di sceneggiata si tratta) nel Bois de Boulogne a Parigi davanti a centinaia di curiosi, nonostante fosse un’alba tagliente.
Giunsero accompagnate dai padrini e con indosso una sontuosa pelliccia lunga fino ai piedi; presero ciascuna il revolver dalla lunga canna e poi, mentre attorno la curiosità diventava parossismo, fecero scivolare la pelliccia a terra e, completamente nude dalla cintola in su, si spararono a vicenda. Nessuna delle due si fece un graffio. Ça va sans dire.

Nel 1914, a 46 anni e ancora bella e seducente, decide di ritirarsi dalle scene. Finisce la sua carriera, ma finisce anche un’epoca: la tragedia della Grande Guerra è ormai in agguato.
Da vecchia scriverà: «Sono stata schiava delle mie passioni. Degli uomini mai!» Un epitaffio.
Ma fu schiava sopratutto del gioco. Lei, regina di un mondo irripetibile, finì sul lastrico, ma visse fino a 97 anni grazie ad un vitalizio che un misterioso mecenate (forse Re Leopoldo del Belgio, suo antico e devoto amante) aveva disposto che ogni mese le fosse accreditato sul conto.
Di lei, de La Bella Otero, restano le sue gesta eclatanti, e un imperituro, visibile ricordo: i suoi celebri seni, riprodotti dall’Architetto Charles Dumas sul tetto dell’Hotel Carlton di Cannes.
E svettano ancora oggi, a futura memoria di colei che stregò la Belle Époque.