Rubrica coriandoli. Robert de Montesquiou-Fézénsac: il sublime dandy della Parigi fin-de-siècle

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Nato nel 1855, discendente di d’Artagnan e con un pedigree che risaliva ai Merovingi, Robert de Montesquiou-Fézénsac fu l’omosessuale più famoso e conteso di Parigi, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, divenendone uno dei personaggi più emblematici.
Impeccabile, altero, elegante, lo splendido corpo sapientemente modellato da abiti attillatissimi, superbo e coltissimo, fu considerato “il professore di bellezza per una generazione intera”, secondo la celebre definizione di Marcel Proust.

Autore di 11 raccolte poetiche “decadenti” e ispirate, sebbene non eccelse, 2 romanzi e 3 volumi di memorie, è passato alla Storia più che come scrittore, come eccentrico personaggio che aveva fatto della raffinatezza e del preziosismo una ragion d’essere.
A Parigi era famosissimo, ammirato e denigrato allo stesso tempo non solo per il suo modus vivendi sempre sopra le righe, ma anche per certi aspetti contrastanti della sua personalità: generoso e crudele, arrogante e dolcissimo, suscettibile e malinconico.
Celebri le sue battute al vetriolo che non risparmiarono i personaggi più in vista della Belle Époque, periodo che lui contribuì a rendere inimitabile.

Stravagante in ogni aspetto della sua Vita, nutriva una curiosa ossessione per i pipistrelli e nelle sue case molte lampade e arredi avevano la forma di questo lugubre animale al quale nel 1892 dedicò anche un poemetto dal titolo, ça va sans dire, di Les chauves-souris, “I pipistrelli”, appunto.
Tra i suoi amici più frequentati ed amati: Sarah Bernhardt, la tenebrosa Contessa Luisa Casati Stampa, Jean Cocteau, Debussy e tutta la Parigi artistica e culturale che se lo contendeva nei vari salotti letterari e lo seguiva nelle sue performances artistiche e modaiole.
La sua personalità e la sua bellezza erano così prorompenti, da ispirare figure letterarie indimenticabili: il Dorian Gray dell’omonimo ritratto di Oscar Wilde, il raffinato e crudele Des Esseintes, protagonista di “A rebours” di Huysmans, ed infine il barone Charlus de “A la recherche du temps perdu” di Proust.

Arbiter elegantiarum, dettava legge in fatto di abiti ed accessori e non si separava mai dai suoi immacolati guanti bianchi e dal suo prezioso bastone da passeggio con pomo d’argento in cui nascondeva il verde assenzio, una delle droghe, insieme all’oppio, più in voga della sua epoca.
Visse un grande e scandaloso amore con il suo bellissimo segretario peruviano Gabriel de Yturri e nel 1905, alla morte prematura di questi, preda di un dolore sordo e immedicabile, si ritirò per un periodo dalla vita mondana, salvo poi tornarci in grande stile nel 1908, quando acquistò un sontuoso palazzo, Le Vésinet, detto anche “Le Palais rose”, già appartenuto ad un marajà.

Robert l’aveva scelto, oltre per la magnificenza, anche perché era situato nei pressi di Versailles, luogo che lui adorava, e le strabilianti feste che vi organizzò (per placare il tormento del vuoto lasciato dal suo amante), con migliaia di luminarie e fiaccole, rinverdirono i fasti dei tempi di Maria Antonietta, regina di Francia.
Questo Palazzo, capolavoro di Art Noveau, adornato con i vasi Gallé più belli allora in commercio, divenne un famoso e ambito salotto letterario, ma lui, Robert, non era soddisfatto del pur imponente parco. Si racconta che i cocchieri che portassero a Le Vésinet gli ospiti, avessero l’ordine di depistarli facendo fare loro lunghi giri in carrozza per i giardini, per confonderli circa la reale estensione.

Nel 1911 un altro grande incontro segnò la sua Vita: Gabriele d’Annunzio che a Parigi, inseguito dai creditori, si rifugiò per 5 anni, in quello che divenne il suo esilio dorato in Francia.
Fu Robert ad introdurre l’Imaginifico nei salotti mondano-letterari della sfavillante Ville Lumière, a presentarlo a Gide, Anatole France1, Diaghilev, Claude Debussy. «Gli tributavo il culto che si tributa ad un dio», scriverà nelle sue memorie, palesando così un sentimento che andava al di là della mera ammirazione.
Pur di averlo, fece leva sulla libidine raffinata e perversa del Vate, proponendogli financo un torbidissimo menage à quatre, presentandogli le sue saffiche amiche Ida Rubinstein e Romaine Goddard Brooks.
Ma aveva fatto male i conti. Conosciuta la Brooks, d’Annunzio se ne invaghì, riuscendo persino a farle cambiare, seppure momentaneamente, sponda.

Pauvre Robert! Desolato, ripiegò su altri amori. La sera della prima de “Le Martyre de Saint Sébastien”, capolavoro dannunziano musicato da Debussy, lui era seminascosto in un palco, ammagato dal misticismo pagano, dalla torva sensualità del dramma.
C’era anche Proust quella sera. Era seduto accanto a lui e, stranamente, si sentiva «contorcere sulla poltrona come se fosse stata una sedia elettrica».
Colpa della invereconda opera dannunziana, certo, ma anche colpa di Robert che nella penombra, furtivamente, dolcemente, lo accarezzava.

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Nella foto: Giovanni Boldini, Ritratto del conte Robert de Montesquiou-Fézensac (particolare), 1897. Parigi, Musée d’Orsay.

Robert de Montesquiou-Fézénsac